"...fintantochè nell'alpinismo si manifestano fantasia, idealità e bisogno di conoscenza, quest'ultima rivolta soprattutto al proprio intimo, esso rimarrà vivo." WALTER BONATTI
Sul sito delle guide alpine della Val Susa l'itinerario viene descritto - come il più severo della Valle di Susa, per lunghezza, sviluppo, esposizione ed impegno.- Confermo.
Ecco il percorso stilizzato.
La partenza, appena lasciata la statale che da Cesana Torinese porta a Claviere, si presentava così...
...l'inizio di un canyon in ombra quasi tutto il giorno, con molta neve farinosa, non proprio l'ideale per passeggiarci sopra.
Dopo una quarantina di minuti siamo all'attacco. Si parte su un pilastro verticale e si traversa lateralmente per raggiungere una stretta gola. Da qui si prosegue con una sequenza di due denti calcarei, poco gradinati, sui quali il ghiaccio vitreo e la neve ferma hanno reso più tecnico il passaggio.
Alle nostre spalle la statale del Monginevro.
Ecco il primo dente visto dalla base...
...e dalla sommità.
Il cavo metallico di sicurezza, gommato per la gioia dei moschettoni, spesso si perdeva sotto cumuli di neve.
Foto della gola...
...e del secondo dente.
La polvere creata dallo spostamento di neve derivato dal nostro passaggio.
Nella foto sotto il primo, anche per ordine di difficoltà, dente, che mi ha fatto sudare nonostante la temperatura.
Adesso siamo all'uscita del segmento iniziale. Poi nel bosco.
Cavo c'è...
...cavo non c'è!
Dopo pochi minuti arriviamo alla base del restante tratto che conduce fino sopra la rocca. Ma prima un sorso di tè per scaldarci le idee.
Saliamo nuovamente. Qui i gradini sono pochissimi ma la roccia è molto ben "ammanigliata" e la mancanza non crea nessuna difficoltà.
Questo tratto è veramente semplice.
I segni del nostro passaggio alcuni metri sotto.
Lo Chaberton, mitica montagna-fortezza sul confine italo-francese.
Sto arrivando! La statale è sempre più piccola.
In lontananza si scorge l'abitato di Claviere, col suo campeggio.
Inizia ora tutto un tratto su spigolo. Mooolto aereo.
Meglio guardare in sù!
Alla mia sinistra un salto di alcune centinaia di metri contornato da pareti completamente verticali e lisce.
Il tratto di strada in cui abbiamo lasciato l'auto. Più che una Punto, un puntino!
Le difficoltà di questa fase sono soprattutto l'aver dimestichezza col vuoto.
Ultima scaletta, quella bionica! Un passaggio nella parte più alta spiega il perchè del nome.
Ultimi metri della via.
Anche Rocca Clarì è nostra! o come direbbe qualcuno - una di più, una di meno -
Dopo il pranzo una discesa in neve fresca sotto la seggiovia, con tanto di facciata nella neve per la gioia dei concorrenti della gara in corso su queste piste.
Per il ritorno alla partenza sfruttiamo il ponte tibetano più lungo del Mondo!
Niente di particolarmente complicato. 408 m di lunghezza a cui si aggiunge una variante di altri 70 m che lo rendono il primo al Mondo. Altezza media 25 m.
Questo ponte corre parallelo al canyon, al suo interno.
Sulle pareti una cascata ghiacciata.
Lo spigolo appena toccato della Rocca Clarì visto dal parcheggio.
Quando ad una persona vengono strane idee, e quando queste idee non paiono così strane al resto del gruppo... Si parte!
Della nostra avventura, di programmato c'era solo l'arrivo al bivacco Boarelli, in Val Varaita, alla sommità del Canalone delle Forciolline. Tutto il resto lo si sarebbe deciso arrivati sul posto dopo aver preso visione delle condizioni dell'ambiente e di noi stessi.
Il problema della partenza è sempre il solito delle uscite di più giorni: come far stare tutto nello zaino?
Con un pò di pazienza il puzzle si compone.
Alla partenza dalla piazza di Castello la temperatura è piuttosto bassa. La salita del Sole e l'inizio della nostra, sistemano le cose.
Il primo tratto coincide col sentiero che porta al rifugio Vallanta. La poca neve caduta ci consente di avanzare senza l'uso delle ciaspole.
Il calore inizia ad essere eccessivo. Via il primo strato di indumenti.
La traccia, formata dal passaggio di una sola persona prima di noi, costeggia il torrente e lo attraversa per arrivare alla deviazione verso il Canalone delle Forciolline. Qui, abbandonato il vecchio sentiero, svoltiamo alla nostra destra. Non ci sono più tracce. Siamo noi al comando.
Lo spessore della neve aumenta. E' ora di infilare ciaspole, ghette e ARVA, lo strumento che invia e riceve segnali per il ritrovamento di persone sotto le valanghe.
Non avevo mai usato le racchette che, nonostante lo spessore del manto nevoso, tengono a galla.
Eccolo davanti a noi il canalone da risalire. E' tutto in ombra (sembra). Iniziano a colpirci delle raffiche di vento, cariche di neve e quindi molto fastidiose.
La traccia dietro di noi.
Eccole le spruzzate di polvere di neve. Mi sembrava di vivere scene himalayane. Questo mix di aria e farina iniziavi a vederlo in alto, sopra la tua testa, a volte come un vortice. Il tempo di un respiro e te lo sentivi scorrere addosso. Con la testa china, non si vedevano i piedi e sembrava che qualcuno tirasse via il "tappeto" su cui camminavamo. Per fortuna era solo un'illusione.
Pausa. La pendenza aumenta e inizia il ghiaccio.
Per risalire da qui servono i ramponi e la piccozza.
Eccoci al pit-stop.
Dopo un sorso di tè caldo, sempre importante in queste giornate, ripartiamo verso la meta.
Un Ilvo in tenuta da 8000 arriva alle mie spalle.
Siamo a metà del tratto più duro. Il vento qua diventa molto fastidioso e continuo.
Flavio disegna la nostra traccia....
...mentre un provato Ilvo si prende una pausa a modo suo.
Non manca molto all'uscita dal canalone e quindi al nostro bivacco.
Nell'attesa di ricomporre il quartetto, Marco ed io ci scattiamo alcune foto, quelle da profilo per Facebook!
Nel mare di neve e ghiaccio esce trionfante l'uomo delle nevi.
Alla meta ormai solo pochi minuti.
Finalmente arriviamo ai 2810 m del Boarelli. Manca poco al tramonto, visibile da un finestrino.
La tavola quasi imbandita, la radio per chiedere soccorsi, il tutto illuminato dall'impianto elettrico caricato da un pannello fotovoltaico, che rende particolare e luminoso questo bivacco.
Ora iniziano i problemi per me. Infatti mentre i cuochi sciolgono la neve per farci la cena e il tè, io tengo i piedi vicino alla fiamma. Nemmeno questo serve a scaldarmeli un pò. Dopo cena sarò costretto a chiedere aiuto ai massaggiatori di turno, Flavio ed Ilvo, grazie ai quali i miei piedi troveranno un pò di pace.
Ore 19:00 cena finita.
Ore 20:00 a letto.
Ormai è stabilito che l'indomani torniamo a valle, non avrebbe senso stare fuori un terzo giorno visti la fatica e dolori vari.
La colazione degna di un hotel di lusso.
La fornitura d'acqua sciolta la sera precedente è ghiacciata, pur restando dentro al bivacco. Si ricomincia da capo per preparare il tè.
L'alba.
Non si nota molto ma nella foto sotto vi è un lago (ghiacciato), delle Forciolline appunto.
Ciaspole ai piedi e si riparte.
Foto di gruppo. Sullo sfondo le cime del Pelvo d'Elva e del Chersogno sbucano dal piano nevoso su cui camminiamo noi.
Nel centro della foto si trova il lago ghiacciato, sulle cui sponde è situato il bivacco. Praticamente disperso nel nulla.
Foto alla famiglia Cocito, con le già citate due cime sulle sfondo.
Eccola la nostra punta. Guglia delle Forciolline 2861 m.
I soliti Pelvo e Chersogno. Il mio sguardo era attratto da queste cime, e di conseguenza anche l'obbiettivo della mia digitale.
Breve tratto di roccia che porta alla croce.
Ognuno di noi aveva 3 portatori a disposizione. Quasi come in Himalaya.
Ilvo.
La croce appena toccata.
Arrivo al Bivacco Berardo a 2710 m. L'ora è quella del pranzo.
Neve. L'ingrediente base di ogni nostro nutrimento.
Il bellissimo panorama che si ammira dalla porta di questo bivacco.
Ancora loro...
...e le marittime.
La discesa dal bivacco non è stata così semplice. Forti raffiche di vento nella parte alta (quella più ripida) ci costringevano a sforzi supplementari per non finire a terra, o meglio nella neve. Ramponi e piccozze ci hanno tenuti aggrappati al pendio fino al fondo. Poi è venuto il turno delle ciaspole.
Sequenza fotografica verso la guglia raggiunta. Si vede anche la croce di vetta.
- Ma noi eravamo lassù? -
- Si proprio lassù! -
Ultimi passi dell'avventura, finita prima rispetto alle previsioni, ma non per questo mal riuscita. E' stata comunque una bella ed interessante esperienza, quella di vivere per un giorno (quasi) come i grandi alpinisti sull'Himalaya. Certo che pensandoci bene meno di cento anni fa in queste condizioni si combatteva una guerra, in cui poveracci lasciati alla loro sorte dovevano sopportare il corso di molte giornate.
Al momento di togliermi le calze noto un dito viola. Li sento ancora gonfi adesso che scrivo, ma non credo sia nulla di grave!
Ringrazio ancora i massaggiatori trovati al Boarelli. Fondamentali.