mercoledì 12 agosto 2015

Corno Stella - spigolo superiore

Montagna mitica delle valli cuneesi, il Corno Stella. A renderla tale è la storia della prima scalata, capitanata dal nizzardo Victor de Cessole (dal quale prenderà il nome la via normale di salita), legato alla corda delle guide Jean Plent e Andrea Ghigo.
Dopo aver visionato la parete dalle cime circostanti nei giorni precedenti, il 22 agosto 1903, i tre attaccarono quella che fino ad allora era definita la "rocca inaccessibile". Solo dopo aver superato il passaggio chiave (mauvais-pas), a metà parete circa, la guida Plent potè gridare "Povero Corno, questa volta ti abbiamo in pugno!", eliminando definitivamente l'aggettivo inaccessibile da questa vetta. 


Mentre salgo verso il rifugio Bozano, 2453 m, penso che non siano solo la storia della prima salita e tutti gli aggettivi che le venivano attribuiti a renderla così temuta, ma anche la sua morfologia di grande trapezio con pareti verticali, prive di alcuna apparente debolezza.


Oltre il rifugio, avviciniamo la parete camminando sulla pietraia che ne sta alla base.
Contiamo gli attacchi delle altre vie scorrere uno dopo l'altro alla nostra sinistra.
Noi siamo diretti allo spigolo superiore (Sud-Est) e la via che ci conduce ad esso inizia dove, nella foto sotto (al centro), si vede una vena di quarzo bianca, sopra le prime placche rocciose.


Saliamo slegati fino alla vena, ormai poco sopra le nostre teste.



Dopo esserci legati attacco io il primo tiro, un canalino facile, che porta ad una sosta per le calate, da doppiare, continuando verso destra fino ad una sella, facile da trovare, ma dalla quale non riesco a scorgere la sosta. Dopo averne fatta una su spuntoni e nut, per non perdere troppo tempo, faccio sicura ai miei compagni di oggi, Bruno e Danilo.


Una volta arrivati alla sella, anche loro restano perplessi dalla discordanza tra relazione e realtà. La sosta dopo una breve ricerca, la troverà Danilo molto più a destra di dove mi ero fermato io.
Risalgo ancora il secondo tiro, sempre di difficoltà contenute, che porta alla base di un muro nero, sotto uno strapiombo color giallo, ben visibile già dal basso.
Qui la sosta la si vede solo quando si è, ormai, a pochi centimetri.
Le difficoltà basse dei primi due tiri, sono accentuate dalle rocce bagnate e dalla assenza di protezioni durante la salita. Anche integrare è difficile, per la conformazione delle rocce.


Uno dopo l'altro arrivano i miei compagni alla sosta. Adesso passa Danilo a "tirare".


Il terzo tiro tiene un andamento verso sinistra, prima scalando il muro nero, poi sotto il tetto giallo, già citati in precedenza. Qui sono presenti alcuni chiodi e gli spit per la sosta.


Ecco l'inconfondibile tetto color giallo.



Arrivati tutti in sosta, riparte Danilo per un tiro breve, ma tutto in traverso, che porta alla base di un diedro-canale.


I primi metri sono in leggera discesa. Nonostante l'umido, delle buone prese per le mani rendono la discesa abbastanza agevole. Poi in piano verso sinistra.


Parte Bruno.


Il traverso visto dalla fine.


La Catena delle Guide e giù in basso il rifugio Bozano.


Danilo, sul quinto tiro, risale questo diedro, reso molto più complicato dalle gocce d'acqua che bagnano la roccia.



Bruno, che assicura, ed io aspettiamo in sosta.


"Solo" più questo manca per arrivare in cima.


Usciti dall'insidioso tiro, ci sleghiamo e proseguiamo a piedi sulle placche abbattute che portano alla Forcella del Gelas di Lourousa. Qui incontriamo altri due alpinisti che arrivano dalla via Michelin-Rossetto, valida e più lunga alternativa al tratto che abbiamo appena superato.


Dalla forcella inizia la cresta che ci condurrà in vetta, salita per la prima volta da Ellena, Giuliano e Soria il 17 agosto 1930.
Tralasciando le difficoltà tecniche e i materiali in possesso all'epoca per superarle, mi fa pensare la difficoltà di aprire un nuovo itinerario senza sapere bene dove ci si andrà a cacciare, non vedendo se dopo quel traverso o quel muro si potrà continuare a a salire o meno. Beh complimenti!


Durante le mie riflessioni sul passato, cambiamo nuovamente il primo di cordata. Tocca a Bruno


Questo tiro, di una quarantina di metri, è caratterizzato da una bella roccia articolata e corre poco a sinistra dello spigolo.
Bruno, già in sosta, ci assicura.


Io sono l'ultimo a salire. Dietro di me il solco del Canalone di Lourousa, con qualche traccia di neve e ghiaccio, che fino a qualche mese prima, veniva sceso con gli sci. Altro luogo simbolo delle Alpi cuneesi.


Il filo di cresta che scende dalla cima del Gelas di Lourousa, è veramente molto affilato.


Bruno attacca il tiro (settimo) più estetico, e per me anche più duro, della giornata, visto che sono ormai molte ore che siamo attaccati a queste rocce.


Dopo un breve traverso su cengia, si sale un muro molto esposto, ma fessurato (foto sopra). Poi si traversa a sinistra e si risale in verticale fino alla sosta.
Qui si trova il passaggio chiave della via. Un tettino che la guida definisce azzerabile, grazie ai chiodi presenti. Due chiodi ci sono, ma risultano troppo bassi per essere utili e un terzo troppo alto per arrivarci dal basso. Sopra la sporgenza si trovano comunque buone prese, che le mie mani si rifiutano di tenere complici la fatica e il non aver più bevuto e mangiato, ormai da ore. Dopo aver sciolto un po' le braccia appeso alla corda, trovo un buon punto dove alzare il piede alla mia sinistra. Superato il passaggio ritorna più facile la salita.


L'ambiente che ci circonda è magnifico. La lingua bianca del Lourousa non l'avevo mai vista da questa prospettiva, e mai mi era sembrata così ripida. Anche Danilo mi conferma questa mia sensazione.
Monte Stella, 3262 m, e Gelas di Lourousa, 3261 m, rispettivamente a sinistra e destra del canale.


Ancora due tiri. L'ottavo dopo un traverso, con lama gigante per le mani, che porta a sinistra sale raggiungendo il filo di cresta. L'ultimo è quasi un trasferimento che porta alla croce. Molto aereo, si cammina su una lama affilatissima, con vista sui due valloni, distanti alcune centinaia di metri.


In sosta aspettiamo il comando di Bruno per partire.


Alle mie spalle uno dei più bei scorci delle Marittime.


Ancora qualche metro a cavallo della cresta, prima di raggiungere...


...la croce di vetta 3050 m!



Sono le 16. Il tempo è bello ma è meglio non temporeggiare troppo.
Giusto una foto della cordata e si riparte.


Discesa di mezz'oretta sul plateau sommitale (incredibile la morfologia di questa montagna...) fino alle soste della via Campia da cui ci caleremo.



Bruno è sul bordo, prima di calarsi nel vuoto.


Danilo, invece, saltella.



Giunti alla cengia mediana, ci spostiamo di qualche passo per una nuova calata, che con una sola corda di 60 m ci deposita un metro circa, sopra la base delle roccette. Ancora un trasferimento a piedi e poi ultima calata sulla pietraia, a pochi minuti dal rifugio.


E' tardo pomeriggio e lei, illuminata dal Sole pomeridiano, sembra meno severa di come l'ho vista al mattino. Adesso è il momento di voltarsi indietro per vedere cosa abbiamo fatto, dove siamo saliti. E per scattare l'ultima foto di questo simbolo dell'alpinismo cuneese.


Anche per il corno ho montato un breve video. Non soffermatevi sugli errori grammaticali. Le immagini sono meglio!


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